Il Postino di Neruda

di José Piñera

Molti anni fa, ebbi l'onore del tutto casualmente di far da postino al nostro poeta Premio Nobel, Pablo Neruda. Tale evento mi tornò alla mente dopo aver visto "Il Postino", la versione cinematografica del romanzo di Skarmeta sul rapporto tra il poeta esiliato ed un giovane postino innamorato. Nel mio caso, la vicenda non venne ambientata sulla rigogliosa isola di Capri, come nel film, ma sul selvaggio e roccioso litorale Cileno della Isla Negra, ove Neruda trascorse gran parte della propria vita.

Durante il periodo dei miei studi universitari, mio padre era ambasciatore del Cile presso le Nazioni Unite. Ogni anno, dal 1966 al 1970, mi lasciavo alle spalle il caldo estivo dell’emisfero Sud ed andavo a trascorrere le vacanze natalizie coi nostri genitori nella favolosa ed ingioiellata terra invernale della città di New York.

Un giorno, all'inizio del 1970, mio padre mi confessò l’aver peccato in una questione un pò stramba: non era riuscito ad inviare un libro a Pablo Neruda. Una casa editrice Americana aveva recentemente pubblicato un’edizione speciale del Canto General, con illustrazioni dell’artista messicano David Siqueiros. La casa editrice ne aveva poi consegnato una copia - con le illustrazioni originali di Siqueiros – all’Ambasciata Cilena a New York, aspettandosi che l'Ambasciata avrebbe poi inviato il libro a Neruda in Cile.

Ciò che rendeva la spedizione del libro così difficile era proprio ciò che rendeva tale opera rara e speciale. Non solo era il libro prezioso al di là di qualsiasi stima: esso era di dimensioni gigantesche. Soltanto il sollevarlo richiedeva uno sforzo notevole, e per aprirlo e leggerlo era necessario un tavolo di buone dimensioni. Quando lo vidi, rimasi allibito. I libri mi erano sempre piaciuti, tuttavia questo non era un semplice libro – questo era un’autentica galleria d’arte, un omaggio monumentale ad uno dei grandi poeti del mondo.

Nei giorni seguenti, trascorsi molte ore da solo con quel tempio letterario rimasto intrappolato a New York come una nave finita in secca. Una quarantina d’anni prima, il grande poeta spagnolo, Federico Garcia Lorca, aveva dichiarato che "la poesia di Pablo Neruda, sorge con un tono di passione, tenerezza e sincerità mai eguagliati in America." Con la pubblicazione del Canto General nel 1950, il più grande poeta dell'America Spagnola rendeva omaggio al suo continente natio ed alle sue inesauribili ricchezze naturali e culturali.

Fu probabilmente allora che fecero presa su di me per la prima volta quei versi che mi colpirono così tanto, e che molti anni più tardi - in quei brevi minuti in televisione, nel 1993, nella mia dichiarazione di intenti durante la campagna presidenziale come candidato indipendente - io avrei utilizzato per esprimere il mio amore per il Cile:

"Ma io amo persino le radici del mio piccolo freddo paese.
Se dovessi morire mille volte,
ivi vorrei morire.
Se dovessi nascere mille volte,
ivi vorrei nascere".

Verso la fine di febbraio, ricevetti l'ultimo numero della rivista cilena Ercilla, nel quale Neruda aveva scritto un articolo lamentandosi che "a New York è venuto alla luce un libro molto grande, il Canto General, tradotto da Ben Belitt, con illustrazioni di Siqueiros. Il libro è – mi dicono – quasi un metro quadro di dimensioni. E com’è fatto? Non l’ho nemmeno visto. Non passa per la buca delle lettere. È stato respinto dalla dogana. È troppo grande per una valigia." Decisi immediatamente che avrei portato il libro con me nel mio viaggio di ritorno in Cile, e cominciò così la mia breve carriera di postino internazionale.

Quando salii a bordo dell’aereo notturno diretto a Santiago le hostess mi accolsero con occhiate diffidenti, tuttavia mi opposi ostinatamente al far mettere nella stiva il mio prezioso pacco. Naturalmente il libro non ci stava nello scomparto al di sopra dei sedili, e così trascorsi l’intero viaggio di 14 ore con l’immenso tomo posato sulle gambe. A Santiago, con mio gran sollievo, il personale della dogana non mi fece molte storie.

Giunto a casa, contattai nervosamente via telefono la casa di Neruda a Isla Negra. Matilde Urrutia, sua moglie, rispose al telefono. Le spiegai che ero tornato in Cile in aereo col libro e che esso aveva già passato la dogana. Ne fu molto contenta e mi invitò a consegnare il libro personalmente presso la loro a casa in prossimità all’oceano.

L’incontrare Neruda non era una cosa che accadesse tutti i giorni, e come il postino di Skarmeta, non ero tanto interessato ad incontrare il “poet del popolo” bensì ero ansioso di imparare dal “poet dell’amore”, il poeta che al servizio dell’amore aveva inventato interi linguaggi ed intere geografie.

Neruda mi accolse con gioia, come se la miglior cosa che egli avesse da fare fosse parlare con lo studente universitario apparso sul suo uscio di casa. E altroché se parlò! Il vecchio contastorie sembrava trovare diletto nelle parole per se stesse, parole che uscivano dalla sua bocca in un loro modo nasale senza uno scopo preciso; ed egli era sempre il protagonista principale negli innumerevoli e concatenati racconti che uscivano saltellando e ridendo dalla sua prodigiosa memoria.

La casa di Isla Negra era più una disordinata ed ingombra nave-museo che un’abitazione. Il poeta mi guidò su e giù per i ponti di quello strano vascello, declamando i suoi versi autoritari sui vari manufatti marittimi ivi raccolti.

Il rombo dell’oceano era una presenza costante, e mi convinsi che solo questo strano guardiano sarebbe stato capace di esserne il custode, come egli stesso aveva suggerito in "Una Casa en la Arena":

"L’Oceano Pacifico straripò dalla mappa!
Non vi era alcun posto ove metterlo.
Era così enorme e caotico e blu che non ci stava in nessun posto.
Così lo hanno lasciato dinnanzi alla mia finestra."

Neruda finalmente mi condusse nel suo bar, e rimanemmo lì fino a notte inoltrata, circondati da un arcobaleno di bottiglie e persi in racconti i cui colori e la cui abbondanza abbagliavano più di quelle bottiglie. Non rammento se lui mi chiese come mi chiamassi, e fossi io ritornato il giorno seguente non sono certo che lui mi avrebbe riconosciuto.

All'epoca, mi sentii piuttosto orgoglioso del ruolo avuto nel consegnare il libro di Neruda ad Isla Negra. Guardandomi indietro ora, col senno di tre decenni dopo, mi rendo conto che Neruda stesso era il vero postino. Dagli elementi della mia terra natia egli riceveva pacchi che poi consegnava all'estero. La sua lettera era una lettera d’amore indirizzata alla vita ed alle genti del mondo. Come egli scrisse nei "Versos del Capitan":

"E così si conclude questa lettera
senza tristezza:
i miei piedi sono saldi sulla terra ferma,
la mia mano scrive questa lettera mentre in viaggio,
e nel pieno della mia vita io sarò sempre
con gli amici o di fronte al nemico,
con il tuo nome sulle mie labbra
ed un bacio che non lasciò
mai le tue".

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POST SCRIPTUM. Avendo recentemente chiesto notizie di questo magnifico libro, ricevetti la seguente risposta da Tamara Waldspurger, Direttore di "Bibliotecas y Archivos" alla Biblioteca Nazionale: "In merito al libro che voi consegnaste personalmente a Pablo Neruda a Isla Negra, posso assicurarvi che questo grosso libro – “quasi un metro quadro di dimensioni” – si trova presso la Biblioteca Specialistica della "Fundación Neruda". Esso contiene una selezione di poemi del "Canto General", tradotti in inglese da Ben Belitt e pubblicato a New York. Sono allegate ad esso le litografie originali di David Alfaro Siqueiros, ed esso è l’edizione XVI di XXV".

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